Musica

PET SOUNDS

 

AMAZING BLONDEL

Gruppo inglese che occupa un posto particolare all'interno della pop music perché dedito alla riproposizione delle musiche ispirate alle danze di corte europee del periodo medio-rinascimentale (pavane, gagliarde, alemanne ecc.). Alla fedeltà filologica a livello strumentale grazie all'uso costante di liuto, tiorba, chitarrone, salterio, cromorno, flauto dritto, tamburo e sonagli vari, fa però da contraltare la composizione di canzoni originali ispirate, come detto, agli stilemi musicali del periodo, pur senza rinunciare all'esecuzione di traditional riarrangiati. La maggioranza dei brani presenti in "Evensong", "Fantasia Lindum" e "England", decisamente i prodotti migliori, spetta alla penna di John David Gladwin che si pone anche come voce principale oltreché secondo liuto e contrabbasso a due corde. Insieme a lui il polistrumentista Terence Alan Wincott e il primo liuto Edward Baird, presente da "Evensong" in poi. All'indomani della pubblicazione di "England" la band subirà la defezione di Gladwin disastrosa per il sound che, rimasto sotto il controllo tecnico di Wincott a garantire l'importante disimpegno strumentale e quello compositivo di Baird che erediterà anche il ruolo di vocalist, si discosterà progressivamente dall'ispirazione originaria, orientandosi verso un folk più regolare a cui si affiancheranno successivamente numerosi elementi rock grazie all'introduzione della batteria e di strumenti elettrici. Il risultato è piacevole ma privo di quella assoluta originalità ideata dal leader precedente e che condurrà di lì a poco allo scioglimento della coppia Wincott-Baird, seguìta da una recentissima reunion anche con Gladwin, soprattutto per la proposizione di spettacoli dal vivo.

 

AUDIENCE

Formati nel 1969 ad opera del chitarrista Howard Werth e del sassofonista Keith Gemmell  durarono lo spazio di pochi anni, sciogliendosi nel 1972 con alle spalle quattro album basati sull' art-rock, genere musicale non lontano da quello che sarebbe stato successivamente denominato progressive-rock, anche se con meno elaborazioni barocche. Si sono ripresentati in pubblico pochi anni fa sulla spinta della nostalgia che ha contagiato tanti altri gruppi rock operativi negli anni settanta.


KEVIN AYERS


E' nato nel 1944. Ha fondato i Soft Machine verso la fine degli anni sessanta con cui però inciderà solo un singolo "Love Makes Sweet Music". La sua musica s'ispira ad una sorta di rock surreale ed immaginifico che rimanda alla c.d. "Scuola di Canterbury" che ha generato una serie di gruppi impegnati nella sperimentazione di un mix di generi fra rock psichedelico, jazz e avanguardia (Matching Mole, Caravan, Hatfield and the North). Ha registrato diciotto albums però i più ispirati appaiono senz'altro i primi tre: "Joy Of A Toy" (1969), "Shooting At The Moon" (1970), "Whatevershebringswesing" (1972) a cui hanno partecipato attivamente alcuni componenti dei Soft Machine e dei Gong più un non ancora consacrato Mike Oldfield; a cui va aggiunto "June 1, 1974" in concerto con Eno, Nico e John Cale. Ayers è deceduto nel 2013.

 

BADFINGER


Si sono formati a metà anni sessanta a Swansea scegliendo di chiamarsi Iveys. Nel 1968 vengono messi sotto contratto dalla Apple, la rinomatissima casa  discografica  dei Beatles, a séguito dell'invio di alcuni nastri ad Abbey Road. Col nome Iveys realizzano un singolo dal titolo "Maybe Tomorrow" e, verso la fine del 1969, già Badfinger, incidono la colonna sonora del film "The Magic Christian" che annoverava fra gli interpreti Ringo Starr e da cui è stato tratto il 45 "Come and Get it" scritto da Paul McCartney che aveva inviato loro proprio un nastro del brano da lui registrato in solitudine con molte sovrincisioni e che gli appassionati hanno potuto reperire nel terzo volume della collection "Beatles Anthology". Da questo momento il legame del gruppo con i Fab Four si fa sempre più stretto: incideranno l'album "Straight Up" sotto la produzione di George Harrrison e collaboreranno, tanto in studio, quanto dal vivo, ai loro dischi solisti. Anche gli stilemi compositivi, strumentali e canori, risentono della lezione beatlesiana. Il primo maggio 1975 subiscono purtroppo un dramma:  il chitarrista e leader Peter Ham s'impicca nel proprio garage. Aveva appena lasciato la band che, dopo qualche momento di smarrimento riprende l'attività fino al termine del 1983 quando Tom Evans, un altro membro fondamentale, si suiciderà allo stesso modo del collega, causando la fine dei Badfinger.

 

BEAVER AND KRAUSE


Duo formatosi a Detroit ad opera di Paul Beaver e Bernie Krause intorno al 1966: il primo nasce come cantante folk e il secondo come produttore. Insieme hanno dato vita ad un convinto percorso musicale basato sull'elettronica; a loro si deve l'utilizzo pionieristico del sintetizzatore Moog che influenzerà in pratica la massima parte dei musicisti rock che poi ne avrebbero fatto grande uso: addirittura George Harrison fu iniziato da Krause nel 1967 e il risultato fu il suo secondo album sperimentale "Electronic Sound" dopo "Wonderwall". Beaver and Krause hanno realizzato una serie di dischi: "The Nonesuch Guide To Electronic Sound" (1966), "Ragarock" (1968), "In A Wild Sanctuary" (1970), "Gandharva" (1971) e "All Good Men" (1972) che comprendeva una elaborazione del ragtime "A Real Slow Drag" di Scott Joplin concepito per la sua opera "Treemonisha". Il duo si sciolse forzosamente nel 1975 a causa della morte di Paul Beaver per infarto.

 

BLODWYN PIG


Abbandonati i Jethro Tull dopo l'album d'esordio "This Was" (1968) per contrasti di natura musicale con il leader Ian Anderson, il chitarrista Mick Abrahams formò i Blodwyn Pig una interessante proposta che riuscirà a fondere il suo amato blues-rock con elementi jazz grazie alla presenza del sassofonista Jack Lancaster che forse più del leader costituiva  la struttura portante della band con la sua inventiva dovuta anche alla grande ammirazione per Roland Kirk che considerava il suo maestro. I Blodwyn Pig incisero due albums prima dello scioglimento: il primo "Ahead Ring Out" nel 1969 da cui fu tratto il singolo "Summer Day" e "Getting To This" (1970). Lancaster e Abrahams ci riproveranno negli anni novanta ma, come per gli Audience, senza più riscuotere grande interesse da parte del pubblico.

 

BLOOD, SWEAT & TEARS

Quando Al Kooper intorno al 1967 ha dato vita ai Blood, Sweat & Tears insieme al chitarrista Steve Katz e il batterista Bobby Colomby, ha cessato di essere quel semisconosciuto musicista che quasi casualmente, due anni prima, si era trovato a suonare l'organo durante le sedute di registrazione di "Highway 61 Revisited", uno dei più significativi albums di Bob Dylan, ponendo la sua nuova creatura all'attenzione di pubblico e critica grazie alla interessante mistura di blues, rock e una forte impronta jazz fornita da una brass section alla medesima maniera dei Chicago e dei meno conosciuti If, lasciando così aperta una sorta di conflitto sul sospetto che la band di Robert Lamm e James Pankow non sia germinata spontaneamente, bensì massimamente influenzata dal coevo gruppo di Kooper. Partito il leader all'indomani della pubblicazione del non facile "Child Is The Father Of The Man" e che di lì a poco sarebbe diventato uno dei più richiesti e apprezzati arrangiatori e session men oltre che elegante cantautore in proprio, i BS&T passano nelle mani del vocalist canadese David Clayton-Thomas che con la sua voce grezza e roca ha fornito l'impronta soul ai più notevoli successi del tempo "Spinnin' Wheel", "You've Made Me So Very Happy" e "Lucretia McEvil". Lasciato anche lui il gruppo verso la fine del 1971, è toccato al bravo Jerry Fisher ereditare quell'impegnativo ruolo. Con lui il complesso ha realizzato almeno un album di notevole livello: "New Blood" (che insieme a lui annoverava altri cambi di formazione succeduti numerosi nel tempo) e che se non ha riscosso il successo meritato, è dovuto solo al pregiudizio verso il nuovo cantante. Dopo un LP in cui a Fisher è stato affiancato il soul singer Jerry La Croix, ha fatto il suo ritorno Clayton-Thomas e i BS&T fra luci e ombre e lunghe interruzioni, continueranno la loro attività senza eccessivo séguito come càpita purtroppo a molti gruppi cui una invidiabile longevità non è la carta di credito che garantisca loro una costante credibilità. Ci piace ricordare fra i molti musicisti avvicendatisi, oltre ai già citati fedelissimi Katz e Colomby, il polistrumentista Dick Halligan che, sfruttando il numeroso line-up, lo  aveva guidato anche verso un approccio classico arrangiando Eric Satie e altri, nonché Dave Bargeron (trombone  e tuba) e Lew Soloff (tromba e flicorno), strumentisti di enorme spessore, tuttora attivi dal vivo e in studio, in convincenti ensamble di jazzisti.

 

TIM BUCKLEY


Nato il 14.2.1947 a Washington ma cresciuto in California, ha bazzicato fin da giovanissimo nei circuiti folk ponendosi presto all'attenzione del discografico Herb Cohen che gli consente la pubblicazione, ad appena diciannove anni, di un album che porta il suo nome. Mentre le sue credenziali crescono cresce in Buckley il desiderio di sperimentare un approccio più ardito e al tempo stesso più libero della propria musica. Vedono così la luce nel medesimo anno (1970) "Blue Afternoon" e specialmente "Lorca" che lo conduce all'attenzione di molti noti jazzisti che apprezzano le frequenti aperture verso quel genere. La positiva sperimentazione iniziata vivrà il suo completamento l'anno successivo in "Starsailor"  unanimemente considerato e con ragione il suo capolavoro. Il sound difatti, pur mantenendo l'impostazione folk di base, vira decisamente verso una forma di jazz più sperimentale e  atonale in cui la voce del musicista diventa un vero strumento dilatandosi fino al superamento dei limiti naturali, quasi una disperata sirena che ulula i testi carichi di un enorme disadattamento esistenziale. Ma come sempre, ad un'ovazione di critica, fa da contraltare un flop nelle vendite che condurrà l'artista  a tacere per un paio d'anni, pubblicando successivamente tre album stilisticamente ineccepibili, ma più di maniera e senza dubbio privi di quella originalità della precedente produzione che non potrà mai più ripetersi per la sua prematura scomparsa avvenuta per overdose nella notte fra il 28 e il 29 giugno 1975.

 

CATAPILLA


E' un vero peccato che siano in molti ad aver ignorato questa interessantissima proposta prog (riduttiva la catalogazione) dei primi anni settanta che ha vissuto purtroppo lo spazio di soli due album: l'eponimo (1970) e "Changes" (1972). Si conoscono i nomi dei musicisti avvicendatisi attorno al nucleo formato dalla dotatissima vocalist Anna Meek (preceduta nel ruolo dall'omonima Jo forse sua sorella), dal chitarrista Graham Wilson e dal sassofonista Robert Calvert, ma poco sui motivi che hanno causato lo scioglimento del gruppo avvenuto all'indomani della pubblicazione del secondo disco. Ciò che rende il sound della band britannica se non unico certamente esaltante, è l'aver impreziosito una sorta di hard-rock di base con raffinate atmosfere jazz e musica d'avanguardia, grazie al costante lavoro della sezione di fiati guidata da Calvert perfettamente armonizzata  con chitarre e tastiere (spesso un piano elettrico) a sostenere la particolare voce della Meek ora grezza, ora recitativa, ora incredibimente calda e pastosa. Pochi i brani contenuti nei due album, alcuni di eccezionale lunghezza (sui 12 minuti) per riuscire ad imprimervi una strordinaria compiutezza. Una menzione speciale la meritano anche le immagini di entrambe le copertine. Non sono stati finora tentati da alcuna reunion. Meglio così: quello che sono stati capaci di esprimere è assolutamente imperdibile, per cui altro, soprattutto dopo moltissimi anni potrebbe, ci si passi la facile metafora musicale, suonare stonato.

 

CHICAGO


Nascono nel 1968 come Big Thing nella città da cui avrebbero successivamente preso la denominazione prima fatta seguire dal pomposo "Transit Authority" e poi semplificata nel solo suo nome in una formazione che in oltre quarantanni è mutata di poco. L'originalità del gruppo è stata caratterizzata dalla presenza di una vivace ed energica brass section: Lee Loughnane (tromba), Walter Parazaider (sax e flauto) e James Pankow (trombone), a sostenere un quartetto base di stampo rock: Terry Kath (chitarra), Robert Lamm (tastiere), Peter Cetera (basso) e Daniel Seraphine (batteria) tramite fantasiosi interventi di stampo jazz. Brani caratterizzati da forti coloriture e lunghi assolo hanno contribuito a far sì che i primi tre album fossero doppi e il quarto (un live al Carnegie Hall) addirittura quadruplo adatto a racchiudere l'operato della band fino a quel momento e che rappresenta un po' il concentrato e l'emblema della sua musica costellata da pezzi superbi ed irripetibili come "In The Country", "Beginnings", "Introduction ", "Question 67 an 68", "Sing A Mean Tune Kid", la meravigliosa suite di Pankow "Ballet For A Girl In Buchannon". Da allora infatti, tranne poche eccezioni come l'album appena seguente ancora denso di episodi notevoli come "A hit by Varèse" , "Goodbye", "Dialogue" e la sopravvalutata "Saturday In The Park", insieme a "Chicago VII" (il gruppo ha scelto come titolo dei dischi quasi sempre il suo nome seguìto dal numero progressivo) un ritorno al doppio, la band comincerà ad abbracciare una musica molto più vicina al pop d'intrattenimento (come il super hit "If You Leave Me Now"), sia pur alternata a momenti più mossi e di spessore, che non tentare un ritorno all'interessante sound ricercato degli inizi. Il decesso tanto tragico quanto (si dice) accidentale di Terry Kath nel 1978 accelera tale trsformazione redditizia dal punto di vista economico grazie alla successiva produzione lussuosa di David Foster che contribuirà ad un altro hit dolciastro nel 1982  ("Hard To Say I'm Sorry"), ma decisamente scadente sotto il profilo qualitativo, facendo guadagnare nuovo pubblico ma deludendo chi ne ha amato i coraggiosi azzardi degli esordi. Avvicendamenti di produzione e anche di formazione (l'importante fuoriuscita di Cetera cantante dei maggiori successi in chiave pop) portano i Chicago ad allontanarsi definitivamente dall'irripetibile  immagine originaria pur conservando nel sound una certa dignità formale.

 

CREEDENCE CLEARWATER REVIVAL

Nati come Blue Velvets a cavallo fra la fine degli anni cinquanta e l'inizio dei sessanta, la formazione comprendeva John Cameron Fogerty (chitarra e armonica), Stuart Cook (chitarra basso e piano) e Douglas Ray Clifford (batteria). Con l'aggiunta successiva di Tom Fogerty (fratello maggiore di John) alla voce solista e alla chitarra ritmica diivennero prima Tommy Fogerty and The Blue Velvets e poi Golliwogs proponendo un sound in linea con il periodo: lenti terzinati sulla falsariga di quelli eseguiti dai Platters pur se con efficacia maggiore, ma meno pathos, perfettamente adatti alla voce chiara e modulata del leader, si alternavano ad episodi più mossi ricchi di riferimenti blues in cui primeggiava invece l'impronta vocale roca e pastosa dell'altro Fogerty, il minore che, prese le redini in mano e annunciata la nuova e definitiva immaginifica denominazione del gruppo, impose alla band una decisa sterzata verso un rock and roll aspro ed essenziale condito con pennellate di rhythm and blues e blues rurale à la Leadbelly, ma soprattutto carico di grinta e feeling grazie anche alla sua grande competenza e versatilità chitarristica. Da quel momento (1967) si è aperto per i CCR un periodo di costante ascesa costellata da premi e riconoscimenti fra album e singoli pubblicati a velocità vorticosa. I genuini e freschi rock and roll "Fortunate son", "Green River", "Travelin' Band" e su tutte l'immortale "Proud Mary", insieme a morbide ballate dal sapore country "Wrote A Song For Everyone", "Lodi", "Who'll Stop The Rain" e "Have You Ever Seen The Rain", possono costituire ancora parte di una ideale playlist d'imperdibili! "Green River" (1969) e "Cosmo's Factory" (1970), considerati a posteriori, si pongono come gli album più riusciti e tecnicamente perfetti, mentre "Pendulum" (1971) il penultimo, salutato come un capolavoro, si orienta invece (tranne poche eccezioni) verso il r&b con uso massiccio di sax e Hammond (tutto ad opera di John), addirittura spiazzando con il sorprendennte strumentale "Rude Awakenin' n°2" una sorta di pavana per chitarra acustica che sfocia improvvisamente in un tentativo d'avanguardia seguendo l'ispirazione rumoristica di LaMonte Young fra nastri rallentati, sintetizzatori e varie altre diavolerie elettroniche. All'indomani di questa pubblicazione Tom Fogerty esce dal gruppo e il fratello, scosso da tale defezione, concede per la prima volta spazio compositivo ai suoi per la registrazione del mediocre "Mardi Gras" (1972) che non fa che dimostrare amaramente quanto l'avocato ruolo di leader indiscusso del minore dei Fogerty non fosse poi del tutto casuale. Dopo lo scioglimento Clifford registrerà un album solista "Doug 'Cosmo' Clifford" simpatico e nulla più, prima di riunirsi a Cook per dar vita alla base ritmica della Don Harrison Band e, recentemente, ad una discutibile riedizione dei Creedence senza John. Tom Fogerty proseguirà la sua incerta attività solista fino in pratica al suo prematuro decesso avvenuto ne 1990. John Cameron Fogerty infine continua tuttora la sua produzione solista di qualità anche se non molto prolifica. E' curioso però notare come la defezione dell'elemento meno dotato della band, ne abbia indirettamente causato la crisi che avrebbe condotto in breve al suo scioglimento.


MICHAEL de ALBUQUERQUE

È stato il bassista dell'Electric Light Orchestra per gli album "ELO 2", "On The Third Day" entrambi del 1973 e "The Night The Light Went Down" un live pubblicato nell'anno successivo. Nel 1973 ha realizzato "We May Be Cattle But We've Got Names" il primo e unico album solista fino ad ora (2014), un prodotto notevole permeato da un sound di  raffinata fattura che lo rende a buon diritto uno dei  "capolavori minori" e sconosciuti della pop music. "Dribble dribble" in apertura mostra un Ollie Hallsall in forma smagliante col suo chitarrismo ondeggiante e si pone fra le cose migliori del disco assieme a "Occasion", una sorta di swing blues molto elegante ulteriormente impreziosito dal tocco meticoloso del vibrafono di Frank Ricotti (con cui il nostro ha reaizzato nel 1971 "First Wind") e destinato a spiazzarci con la sua chiusa country. "Do Right", grazie al suo arrangiamento di fiati, riconduce ai Chicago e ai Blood Sweat & Tears più leggeri, mentre "Sweet Mirth" e il brano eponimo presentano un soul jazz sospeso, giocato su interventi strumentali densi di originalità. Con la voce roca modulata e tirata dove serve, il protagonista non opera alcuna concessione al pop  sinfonico del gruppo dove ha militato. Una piacevole sorpresa anche per i palati più sofisticati.

 

LECTRIC LIGHT ORCHESTRA


Il polistrumentista inglese Roy Wood deve aver mal sopportato la fine dei suoi Move, il gruppo beat-rock in attività dalla seconda metà degli anni sessanta, in cui militava responsabile anche a livello compositivo. Reclutati in breve tempo altri due membri della disciolta band: Jeff Lynne (chitarrista e polistrumentista) e Bev Bevan (batterista), ha dato vita ad una proposta assolutamente innovativa nel panorama rock dei primi anni settanta e che è stata sempre un suo pallino: riprendere anche dal vivo le atmosfere che avevano ispirato i Beatles del periodo più psichedelico "Sgt. Pepper" e "Magical Mistery Tour", per cui alla sua eccellente versatilità che lo conduceva a suonare praticamente tutti gli strumenti anche i più rari e inusitati nel pop, ha inteso affiancare uno o più musicisti dediti a strumenti classici come violino e violoncello. Da questo curioso ensamble, enfaticamente denominato Electric Light Orchestra, nasce il primo disco eponimo che resta forse l'episodio più originale, pieno di rimandi ai Fab Four: "Mr. Radio" e "Look At Me Now" una "Eleanor Rigby" in tono minore, che nella mente di Wood deve aver interamente saturato il messaggio da trasmettere tanto da lasciare la sua neonata creatura nelle mani di Lynne che ne farà uno dei gruppi di maggior interesse da attraversare anche la decade successiva avvicinandolo ad una dimensione electro pop mediato con i succitati elementi classicheggianti, con risultati di grande successo commerciale, ma d'impatto spesso imbarazzante quando non stridente (valga fra tutte la versione di "Roll Over Beethoven"). Dal canto suo Wood alternerà la sua attività solista (peraltro non molto prolifica) alla irrequieta costituzione di nuove bands ("Wizzard" e "Wizzo") che comunque, sia pur concedendo più spazio a tematiche decisamente rock and roll, non rinunceranno a sections di archi e fiati, distanziandosi di poco dal sound iniziale della ELO, ma con minor originalità.

 

THE FAMILY

Anche se saranno in pochi a ricordarli, i Family sono stati una delle formazioni inglesi di punta operative dalla seconda metà degli anni sessanta fino ai primi della decade successiva. Nati a Leicester nel 1967, il line-up comprendeva Charly Witney (chitarra e tastiere) e Roger Chapman (voce e sassofono) i fondatori che si sarebbero resi responsabili di oltre il 90% delle composizioni della band, più il compianto Rich Grech (basso e violino) che sarebbe approdato alla prestigiosa corte di Steve Winwood nei Blind Faith prima e, a più riprese, nei leggendari Traffic poi e il batterista Rob Townshend. Pur restando la caratteristica fondamentale della loro musica l'interpretazione vocale grezza e tonante di Chapman al limite delle possibilità umane, quello dei Family non è però un hard rock sgangherato e sporco, bensì un sound capace di fondere una ritmica dura e pulsante con preziosismi stilistici che si sono valsi, negli anni e nei seguenti cambi di formazione, di interventi di flauto, violino e vibrafono inusitati in un gruppo molto "diretto" come quello specie negli spettacoli dal vivo. Ponendo ad esempio a confronto brani come la pesante e urlata "Good News, Bad News" (che pure annovera un peculiare assolo di vibrafono da parte di Poli Palmer uno dei più validi componenti avvicendatisi) e la strumentale "Normans" un valzerino folk condotto dal violino (entrambi da "Anyway"), sembrano prodotti da due band differenti. I Family si sono sciolti nel 1973 dopo sette album in studio fra cui i più ispirati restano quello di esordio "Music In  A  Doll's House" (1968),  il citato "Anyway" (1970) per metà dal vivo e "Fearless" (1971) da molti considerato il loro capolavoro, sei episodi dal vivo e tre antologie di cui  segnaliamo "Old Songs New Songs" (1971) che più che una raccolta in senso tradizionale è stata l'occasione per riproporre vecchi brani sotto una nuova veste.


GALLAGHER & LYLE


Scozzesi di Largs, Benny Gallagher (chitarra, basso, piano, fisarmonica, voce) e Graham Lyle (chitarre, mandolino, banjo, dobro, harmonica, voce) si sono messi in luce come componenti dei McGuinness-Flint il gruppo ideato dall'ex Manfred Man Tom Mc Guinness un chitarrista molto legato al blues, componendo la quasi totalità dei brani realizzati dalla band cui hanno infuso un sound fruibile e leggero d'impostazione folk-rock con più di una eco beatlesiana grazie alle interpretazioni vocali di Lyle timbricamente assai  prossime  a quelle di Paul McCartney. Nel 1970 il singolo "When I'm dead and gone" entra nelle classifiche internazionali, ma i due fuoriescono dopo il secondo album "Happy Birthday Ruthie Baby" proseguendo come duo denominato semplicemente con i loro cognomi, così come il primo album, un prodotto davvero notevole composto di perle deliziose come l'old fashioned "Mrs. Canatellis" in apertura e le delicate "Greenfingers" e "Great Australian Dream". Con il successivo "Willy and the lapdog" (1973)  i due proseguono il discorso del disco precedente proponendo fra le cose migliori "Hotel Constantine" e il gioiellino conclusivo, la breve e malinconica "Thoughts From The Station". Da segnalare la presenza di Pete Townshend all'harmonica bassa in "Give a Boy a Break". In seguito "Seeds" (1974) e "The Last Cowboy" (1975) presentano aperture verso forme rock grazie all'uso più frequente della chitarra elettrica e degli interventi al sax da parte di Jimmy Jewell. E' con "Breakway" del 1976 e l'omonimo singolo ripreso con successo da Art Garfunkel che G&L destano l'interesse di pubblico e critica proponendo anche dal vivo (accompagnati da musicisti in gamba) "Heart On My Sleeve", la spumeggiante "I Wanna Stay With You" e "Stay Young" dall'impostazione addirittura jazz! Dopo "Love On The Airwaves" che ripete un po' "Breakaway" in tono minore, con "Showdown" si portano decisamente verso atmosfere più vicine al funky rammentando talvolta il sound dei Bee Gees del "sabato sera" per poi sciogliersi agli inizi degli anni ottanta. L'importanza dei due è legata anche alle molteplici collaborazioni con gruppi e musicisti di spessore fra cui i Fairport Convention,  Ronnie Lane, Paul McCartney, Pete Townshend e Tina Turner per cui Lyle ha composto il successo "What's Love Got To Do With It".

 

GENTLE GIANT


Uno dei gruppi maggiormente innovativi del genere definito progressive rock si è formato nel 1970 ad opera di tre fratelli scozzesi Phil, Derek e Ray Shulman dalle ceneri di una band fondata da Derek e denominata Simon Dupree and The Big Sound orientata verso il rhythm and blues. Ai fratelli Shulman si sono aggiunti il tastierista Kerry Minnear e il chitarrista Gary Green, cambiando poi cronologicamente tre batteristi (Martin Smith, Malcolm Mortimer e John Wethers). Una delle particolarità del gruppo sta nellì'enorme versatilità strumentale di ciascun componente considerato che, accanto agli strumenti più tradizionali per una rock band (chitarra-basso-piano/organo-batteria), essi utilizzano: tromba, trombone, sassofono, flauto dritto, fagotto, violino, violoncello, clavicembalo, clavicordo, vibrafono, xylofono, timpani e molto altro ancora, così in studio come nei concerti dal vivo rendendosi spettacolari anche visivamente. Sorpresa piacevole la festosa accoglienza riservata da noi in Italia al complesso da oscurare persino un concerto dei Jethro Tull cui aveva fatto da apripista nel lontano primo febbraio 1972 al Palasport di Roma, da condurlo per molto tempo a privilegiare il nostro paese nella pubblicazione dei dischi. Descriverne il sound è praticamente impossibile poiché ogni singolo brano è permeato da ogni influenza disponibile: dal rock al blues, dal jazz alla musica contemporanea e addirittura a quella medio-rinascimentale tramite l'uso della tecnica del discanto nell'esecuzione dei cori (valga per tutti "Knots"). Undici i prodotti pubblicati esclusi i dischi dal vivo e le immancabili antologie, ma i più riusciti appaiono l'eponimo album d'esordio (1970) con la bellissima "Funny Ways", il successivo "Acquiring the taste" (1971) e il concept "Three Friends" (1972) presentato in anteprima dal vivo in Italia. Con i successivi, a cominciare dal seguente "Octopus" l'ultimo in cui è presente Phil Shulman fuoriuscito per disaccordi, la band ha un po' stagnato e le complessità vocali e strumentali che avevano superbamente caratterizzato l'originale carica innovativa della proposta, si sono via via stemperate verso una musica che, prestando qualche concessione alle mode, si è rivelata nel tempo formalmente perfetta, ma emotivamente limitata.

 

HUGO LARGO 

Scorrendo il bizzarro line-up di questa band americana formatasi negli anni ottanta si evince che non ci si trova di fronte ad una musica di facile ascolto, bensì ad un sound imperniato sulla voce di Mimi Goese e sul violino di Halin Rowe ora perfettamente armonizzati, ora efficacemente contrapposti per imporre una fermezza al brano interpretato, sorretti dalla peculiarità dell'utilizzo di due bassi affidati a Tim Sommer e Adam Peacock, uno certamente una classica chitarra-basso a quattro corde, un'altra invece è quasi sempre un basso a sei corde, o una chitarra giocata sulle note più grevi. La suddetta voce ora dipinge atmosfere soffuse al limite della new age, ora si fa drammatica, lamentosa e lacerante sulla scia del Tim Buckley dell'insuperato "Starsailor" per un risultato comunque di alto livello. Svariate sono le analogie con i Catapilla: il medesimo destino di aver saturato il messaggio in soli due album, aver impostato il sound sull'energia di una voce femminile e, seppur non abbiano riscosso il grande successo di pubblico, sono riusciti a funzionare da apripista per  molti gruppi e musicisti  di successiva generazione.

 

INCREDIBLE STRING BAND


Un'inarrestabile febbrile maratona di concerti in senso tradizionale, di spettacoli con recite, musiche e danze, brani d'ineffabile lunghezza su dischi incisi e immessi sul mercato a velocità vorticosa, sono opera di una fantasiosa coppia di autori contornati da pochi musicisti alternatisi negli anni ma mai in modo determinante: Robin Williamson e Mike Heron entrambi polistrumentisti nell'accezione semantica più estesa, hanno dato vita all'Incredible String Band un prodotto musicale pazzo e visionario impostato su di un folk che batte un po' tutti i sentieri percorribili introducendo altresì elementi esotici asiatici e africani, frutto di viaggi e peregrinazioni dei due alla ricerca delle radici musicali di molte culture. Dopo l'album eponimo del 1966 più convenzionale nei suoi elementi folk e blues per il quale Heron si è unito a Williamson e a Clive Palmer (fuoriuscito  dopo il secondo LP), si sono imposti all'attenzione di pubblico e critica con "The Hangman's Beautiful Daughter" del 1968 considerato la loro prova migliore. A questo hanno fatto séguito a intervalli molto ridotti (anche due album l'anno!) una serie di dischi che poco aggiungono a ciò che già si è captato dalla loro musica: il monumentale "U" un doppio del 1970, ad es., è stato concepito per una rappresentazione teatrale. Ma le precipitose uscite discografiche hanno finito per disorientare i medesimi protagonisti che, dopo aver tentato con gli ultimi prodotti un approccio elettrico che ha snaturato la magia iniziale, si sono trovati nella necessità di sciogliersi all'indomani della pubblicazione di "Hard Rope & Silken Twine" (1974).

 

THE JACKSON HEIGHTS

E' un gruppo fondato intorno al 1970 da Lee Jackson, bassista dei disciolti Nice, la prog band di cui faceva parte il leggendario Keith Emerson. Nonostante l'interessante proposta musicale, un piacevole pop-rock semiacustico dotato di meodie piene di echi beatlesiani e spunti folk, l'ensamble non ha vissuto momenti molto esaltanti restando impiedi lo spazio di tre anni e quattro dischi dei quai il più ispirato appare "Ragamuffins Fool" (1971). Accanto al leader si sono avvicendati diversi musicisti (fra cui gli ex batteristi dei King Crimson Mike Giles e Ian Wallace), ma quelli di maggior rilievo anche a livello compositivo sono stati il tastierista Brian Chatton e il polistrumentista John Mc Burnie.


JETHRO TULL


Più che la denominazione di una band (mutuata dal nome di un agronomo inglese del seicento) Jethro Tull rappresenta lo pseudonimo dietro il quale si cela lo scozzese Ian Anderson che, insieme ad un numero di gregari tutti mutati nel tempo ad eccezione del chitarrista Martin Lancelot Barre, ha dato vita ad una interessante proposta musicale impostata su di un folk di base di ovvia ispirazione scozzese, in cui s'inseriscono elementi di blues e di rock quest'ultimo dai toni molto spesso heavy. Pur essendo strumentalmente molto versatile (chitarra acustica, piano, organo, violino, percussioni e altri strumenti minori), Anderson si è posto all'attenzione di pubblico e critica per aver elevato a strumento caratterizzante il sound del gruppo il flauto traverso suonato spesso imprimendo un soffio prepotente e sibilante e non a caso ancora oggi "Boureé" (un rifacimento da J. S. Bach), dopo più di quarantanni dalla sua pubblicazione, viene considerato il suo brano più rappresentativo. L'album "Aqualung" (1971), impostato sul perfetto equilibrio di tutti gli stilemi compositivi dello scozzese (pressoché solitario anche nella scrittura dei brani), resta il loro capolavoro assoluto, benché proprio lui avesse scommesso di più sul successiovo "Thick As A Brick" un concept in cui, ad un sound formalmente perfetto non corrisponde altrettanta originalità compositiva tanto che, per ritrovare un prodotto nuovamente ricco di energia e originalità, bisognerà attendere il 1977, anno di pubblicazione di "Songs From The Wood". Da quel momento Anderson alternerà prodotti routinari ad episodi più degni di menzione, trovando anche il tempo per una prova solista "Walk Into Light" quasi ignorata da un pubblico a cui non doveva certo dimostrare le sue eccelse doti di musicista. Ancora oggi i JT proseguono l'attività e la loro musica, di fronte alla pochezza qualitativa odierna, svetta come il proverbiale "faro"; ma  chi ha conosciuto il periodo di migliore vigore creativo del flautista, non può certo meravigliarsi o gridare al miracolo per i prodotti odierni.

 

MALO


Ciò che ha impedito ai Malo di diventare una band di grande successo (di diventarlo veramente) è che uno dei suoi leader è stato il chitarrista Jorge Santana (nella foto con baffi e capelli neri insieme all'altro leader, il compositore-bassista Pablo Tellez), fratello minore del più celebre Carlos che, all'indomani della pubblicazione del primo album dei Malo (1971), aveva già piazzato alcune perle stellari come: "Black Magic Woman", "Oye Como Va", "Soul Sacrifice" e su tutte l'insuperata "Samba Pa Ti". Da tutto ciò, il naturale sospetto che il gruppo del minore dei Santana intendesse collocarsi come una sbiadita copia in sedicesimo della più famosa band, ha messo un po' la sordina a questo talentuoso ensamble che in realtà e nello spazio di soli quattro album, ha proposto una sapiente e festosa miscela rock-jazz d'nfluenza centramericana caratterizzata da una brillante brass section ad esprimersi su di un tappeto d'indiavolate percussioni, per un risultato di assoluta piacevolezza e gli assolo di Jorge (spesso alternato nei primi prodotti a quelli di Abel Zarate) non hanno mai costituito il marchio dei Malo, così come invece accade nella Santana band. Come ogni gruppo che abbia annoverato nel proprio interno molti elementi (mai meno di sei unità), pochi sono quelli che hanno attraversato tutta l'avventura, diventando alcuni, dopo lo scioglimento, gregari (turnisti o addirittura fissi) dei Santana. Difficile determinare quale sua il loro disco migliore ma l'iniziale eponimo (su cui svetta "Nena" recentemente riproposta da Zucchero) e il terzo "Evolution" con l'eccellente e travolgente apripista "Moving Away", la delicata "All For You" che rimanda ai Chicago più soft e la magìa di "Entrance To Paradise" paiono i prodotti più rappresentativi. Dopo il duemila (a quasi quaranta anni dal loro ultimo disco) si sono riuniti, non si sa bene con quali componenti ma...è la solita storia.


GRAHAM NASH


Nato a Blackpool il 2 febbraio 1942 è stato uno dei co-fondatari del gruppo rock-beat degli Hollies nei primi anni sessanta. oltre a coprirne il ruolo di chitarra ritmica e compositore. Lasciato il complesso si trasferisce in America dove contatterà David Crosby dei Byrds e Stephen Stllls proveniente dai Buffalo Springfield, ideando e realizzando con loro una delle proposte musicali di massimo livello dei primi anni settanta: Crosby, Stills & Nash, allargandola successivamente ad un altro fuoriuscito dai Buffalo: Neil Young, trasformandosi così in CSN&Y. quartetto che continuerà con una alternanza nel tempo e nei componenti fra rotture e riunion in pratica fino ai giorni nostri. Nei periodi di rotture Nash costituirà un forte sodalizio amichevole e artistico insieme a Crosby realizzando una serie di dischi anche di spessore, impegnandosi altresì in prove soliste fra cui la maggiormente riuscita risulta quella di esordio: l'album "Songs For Beginners" del 1971 una collezione di perle elettroacustiche di invidiabile semplicità che ne fa un autentico must introducendolo di diritto fra i cinquanta album imperdibili di tutti i tempi. Da non perdere assolutamente le acustiche "Wounded Bird" e l'autobiografica "Simple Man", la quasi epica "I Used To Be A King" con uno stratosferico Jerry Garcia alla steel guitar, l'intensa "Better Days" culminante in un assolo di un inusitato clarinetto basso (Seemon Posthuma) e la politica "Chicago" divenuta l'inno dei pacifisti americani di una intera generazione. Episodi come quelli restano unici per chiunque e difatti il musicista non si è mai più ripetuto a quei livelli.

 

THE STACKRIDGE

Il genere da loro proposto è stato definito Progressive Rock, ma dopo averli ascoltati, ci si rende conto si tratti di una codifica assolutamente orientativa e approssimativa poiché la musica degli Stackridge è praticamente inclassificabile, piena come è di tutti i riferimenti possibili per un risultato gradevole e a tratti sorprendente! Le due anime che nel 1971 hanno dato vita a questo peculiare ensamble inglese sono Andy Cresswell-Davis e James Warren che nel 1978 (due anni dopo  lo scioglimento del gruppo) hanno altresì fondato la band iperpop dei Korgis, protagonista di molta musica d'incerta consistenza, ma anche di un inatteso successo con il notevole singolo: "Everybody's Got To Learn Sometime". Quanto agli Stackridge, come non rimanere affascinati dal foxtrot "Anyone For Tennis" o dal valzer "Pinafore Days" dall'album omonimo, contrappuntato da un fagotto da opera buffa, corni inglesi e sostenuto da un insistente tamburello a tenere il tempo? Nel 2000 l'ensamble si è rimesso impiedi, ma in pochi se ne sono accorti.